Paola Babini, natura e storia.
E’ una relazione temporale quella che Paola ben sa esprimere nelle sue opere, le affida ai nostri occhi e ciò che appare tocca nuovamente la nostra coscienza. E’ come se le immagini che le popolano, con un che di reliquia, che le distacca dalle cose reali come una decalcomania, costituiscano tradizione, accumulo di tempo. Sono immagini che, nella coesistenza di naturale e artificiale, ci indicano il tempo di un mondo e suscitano la nostra fantasia, o nostalgia. Quelli che Paola rappresenta sono anch’essi luoghi, dove ambientare i nostri sentimenti. Abbiamo la sensazione che questi luoghi custodiscano una loro storia, continuamente mutevole, o aspettino che la loro storia si avveri. Instauriamo con loro rapporti in qualche modo simili a quelli umani. Sono calmi, delicati, pacifici e destano in noi un senso di comunanza e di sicurezza. Vi riconosciamo alberi, giardini, uccelli, immagini archetipe, dove sono congiunti simboli naturali e culturali. Attraversiamo l’esperienza della luce e del colore e sentiamo forte il bisogno di rispettare le cose del mondo, perché risvegliano in noi radici arcaiche, mitiche. Il ciclo di lavori che Paola mi mostra è quindi il tentativo dell’artista, che nutrendosi delle proprie visioni, cerca di ricongiungere l’uomo a strati profondi e antichi, di ricomporre lo scollegamento che l’umanità ha subito in epoca moderna con la propria parte inconscia. Un invito a ritrovare le nostre radici, poiché i luoghi sono la coscienza di noi stessi, e perdendo questa memoria perderemmo la capacità di orientarci e cadremmo inevitabilmente vittime, di ciò che è inafferrabile e onnipotente.
Tobia Donà
Pensieri Verdi
[…] Di mappe e di territori nei quali prende corpo una nuova utopia di relazione con il mondo parla Paola Babini con le sue opere mixed media. Babini lavora da tempo sulla memoria, una memoria personale e d’affezione dove lo sguardo, nel corso degli anni, si è gradualmente spostato dall’indagine autobiografica a quello su un esterno sempre filtrato da un’esperienza in qualche modo sentimentale, saldamente corporea e organica. I materiali sono oggetto di una sperimentazione continua in cui le caratteristiche fisiche e organiche acquisiscono uno status poetico al pari del gesto. Si addensano così sedimentazioni quasi oniriche che costruiscono visioni di senso, personale e, insieme, collettivo nelle quali la fotografia incontra il gesto pittorico, raffreddandolo nell’installazione. Non è però mai un linguaggio minimalista il suo, ma fieramente denso di rimandi, citazioni corporee, simboliche, storiche, metaforiche nelle quali la quotidianità dello sguardo e della narrazione si trasfigurano, si teatralizzano, sporcandosi di terra, di mani, di gesto, di storia. Per questo, l’opera di Babini resta sempre calda, umana e sensibile, vitalistica, esprime un mondo in fermento continuo che non ha paura di guardare in faccia i suoi limiti, le sue inevitabili stonature e, nell’atto stesso del guardarle, le trasfigura, cambiando semplicemente prospettiva. […]
Sabina Ghinassi
Sensi naturali
Paola Babini si affida ad una narrazione attenta della realtà circostante, catturata attraverso il mezzo fotografico e mischiata alle nostre memorie storiche. Come in una sorta di collage dell’anima, ricostruisce un passato e lo sovrappone al presente accostando fotografie di elementi paesaggistici a disegni di rovine dell’architettura antica e imprigionandoli poi assieme in teche trasparenti che fungono da reliquario menmonico e racchiudono la visione fermando l’istante in un processo di liquefazione dell’atto. Una scatola invisibile che cristallizza l’immagine data per volerla conservare nel tempo, che fissa irrimediabilmente le suggestioni e i colori incontrati per caso dall’artista durante i suoi viaggi nell’alternarsi armonioso delle stagioni, i verdi dei campi e dei grandi alberi che si stagliano nella campagna, i gialli vivaci delle foglie cadute, la lucentezza dell’acqua. Immagini liquide e rarefatte, non esattamente messe a fuoco e non completamente finite, frammenti di vissuto che si muovono in trasparenza, tra le cornici specchianti, fondendosi assieme in un amalgama che va a cancellare l’idea spazio-temporale e non permette più la distinzione tra memorie e realtà effettiva. Singolare che la figura umana non sia mai presente nelle opere dei tre artisti, sebbene se ne senta forte la presenza e se ne intuisca l’assenza. Ma se ne può capire il motivo. L’uomo è figura ambivalente, conservatore e nello stesso tempo distruttore di una natura che dovrebbe essere sì considerata un tempio ma che proprio a causa della scelleratezza umana è oramai un semplice vestibolo ridotto a poche e solitarie colonne che riescono ancora a mantenere in piedi quell’eterna e secolare aura di mistero.
Francesca Baboni