Lunga vita alla scarpa
S
e è vero che l’abito non fa il monaco, è altrettanto vero che ognuno
di noi è ciò che mangia. Con l’affermazione dell’epoca contempora-
nea, dei suoi gusti e delle sue mode, l’asse si è spostato e gli individui
sono sempre più ciò che indossano. Nella selva che ci accompagna
ogni giorno abbigliandoci, molti sono i capi utili, ma al di là della stagione,
più di ogni altro, la scarpa ci protegge e ci caratterizza, spingendosi ben al
di là della sua semplice funzione. La scarpa ci identifica in maniera iconica,
caricandosi di una valenza simbolica che si modifica con lo scorrere del tem-
po e l’alternarsi delle ere. Paola Babini esprime se stessa a partire da questo
elemento, che viene privato sia della propria funziona pratica sia di quella
estetica, per assumere una valenza totalmente nuova che si aggrappa alla
forma: i protagonisti delle sue opere “oggetti” di comune utilizzo e conoscen-
za, vengono chiamati ad agire come fossero note musicali che – pur essendo
un numero limitato – vengono ricombinate in infinite melodie. Ogni novi-
tà che scaturisce semplicemente spostando la posizione sul pentagramma,
gioca nel campo proprio della musica, così come nell’arte dell’installazione
farebbe il medium, che in questo caso è la calzatura, ricollocata nello spazio
per dare sfogo massimo alla creatività dell’artista e alla necessità espressiva
del sè. Così la scarpa non viene decomposta, smembrata o riassemblata, ma
utilizzata a partire da un’estetica non dimentica del ruolo dell’oggetto, che
viene musealizzato e perde così il proprio ruolo ma non la propria immagine.
Un’immagine – ora leziosa, ora severa – che ci racconta di noi e del luogo
che abitiamo e calchiamo, percorrendolo dall’inizio della civiltà. Ogni singola
calzatura si trova a giocherellare con elementi differenti, sapendo che non
dovrà più accollarsi il peso di un corpo felice, inquieto o concentrato sulla
propria ripetitiva quotidianità, ma assumere in sè un ruolo differente, che
asseconda se stesso e l’altro da sé a partire dagli occhi.
La scarpa è un oggetto squisito che attraversa la storia; Paola Babini la uti-
lizza, assecondando la propria sensibilità femminile, per evocare la memoria
di un’esperienza, attraverso l’impiego di un mezzo simbolico raffinatissimo,
dalle infinite possibilità estetiche. Il simbolo caratterizzato dalla calzatura,
oggetto comune e conosciuto, che permette ad ogni spettatore di avvicinarsi
all’opera senza timori, diviene così il sostrato di partenza per chiunque voglia
intraprendere il viaggio a ritroso nel tempo alla scoperta del sé. Le opere di
Paola Babini, sono un elemento mitico per il gentil sesso ma non solo: come
non ricordare il monologo sulla condizione giovanile nel finale del film girato
da Nanni Moretti - Bianca, 1984 - in cui Michele Apicella coniò la mitica
frase: “
ogni scarpa una camminata; ogni camminata, una diversa concezione
del mondo
”.
Sono opere, le sue, che permettono allo spettatore di muoversi liberamente,
lasciando che il proprio vissuto si adagi delicatamente, attraverso la messa in
gioco di un’ironia senza forzature, capace di far sorgere un sorriso ora malin-
conico, ora gioioso, un tributo a ciò che è stato, senza inutili spiegazioni. Le
opere del primo periodo si caratterizzano per il loro carattere marcatamente
concettuale, che si arricchisce – nelle opere più recenti - di elementi narrativi
estrapolati da realtà affascinanti (come nella serie
Scarpe fasciate
, ispirata
all’antica usanza cinese di fasciare i piedi alle fanciulle perché restassero più
piccoli ed affusolati).
Quelli della Babini sono titoli evocativi:
Riflessioni passi passioni
,
Un mare
di ricordi
, o
Simboli di viaggio
, suggerimenti leggeri come la brezza di un
venticello che spettina i capelli giusto per il tempo di rendersi conto dell’esi-
stenza dell’aria che sarebbe altrimenti impalpabile. Variegata anche la scelta
del mezzo tecnico con cui trattare il soggetto, passando per l’installazione di
elementi reali - teche in plexiglass che contengono vere calzature - ma anche
fotografie, acetati e gelatine con pigmenti colorati, che mantengono vivo il
legame con la pittura, linguaggio che l’artista ha utilizzato, conosciuto ed ap-
profondito, che dopo essere stato digerito può divenire qualcos’altro. Anche
l’utilizzo della teca è fondamentale nella sua valenza simbolica strettamente
legata alla funzione: la scatola e il contenitore custodiscono e proteggono la
reliquia, mostrandola e quindi perpetrando la sua esistenza attraverso prove
fisiche. Paola Babini la impiega per necessità di conservazione, perché l’atto
di musealizzazione le permette di relazionarsi alla sua creatività attraverso
un pensiero che si palesa come razionale.
Viviana Siviero
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